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Il Movimento Arte Concreta all’inizio nel 1949, riunito alla Libreria Salto di Milano.

da sx a dx: Bertini, Munari, Sala, Di Salvatore, Monnet, Salto sr, Dorfles, Salto jr, Regina, Mazzon, Veronesi.

ANTOLOGIA CRITICA

André Bloc

(prefazione al catalogo della mostra personale. Milano, Libreria Salto, 1951)

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Come non rispondere all'appello di un amico italiano che conduce nel proprio paese una dura battaglia? Per non dire quanto io ammiri l'ardente giovinezza di un'Italia, che in un mondo di follia continua ad entusiasmarsi per l'arte della sua epoca, rifiutando il compromesso accademico, ricercando i veri valori e una nuova espressione.

Come non incoraggiare il giovane maestro che, malgrado l'ambiente limitato, si sforza di guidare i suoi alunni attraverso nuove vie, per le quali gli ‘ Ufficiali' di tutto il paese non mostrano molta simpatia.

Non c'è niente di più convincente di un maestro coraggioso.

Non è per opportunismo che Di Salvatore abbandona nel 1947 l'arte figurativa.

Vi rinuncia in seguito a numerosi viaggi e a una lunga meditazione per consacrarsi con tutte le energie a ricerche astratte. L'insieme delle opere per il quale ho l'onore di scrivere la prefazione, è quello di un artista autentico, la cui giovinezza non è una tara, un artista che ha ben imparato la lezione dei primi maestri dell'arte figurativa.

A tutti coloro che potrebbero trovare banali gli amabili giochi di curve e di tratteggio che sono alla base delle opere riprodotte, obbietteremo che la musica è fatta di suoni, la poesia di paro-

le, la pittura di colori e il disegno di tratti e macchie. Poco importa se gli accordi sono semplici, se le parole appartengono al vocabolario più sobrio. Appare chiaramente la spontaneità

di una vita interiore ardente e libera da ogni costrizione.

Le opere presentate in questa esposizione mostrano che gli stessi mezzi permettono delle espressioni differenti.

Ad ogni artista spetta il compito di cercare il proprio linguaggio. Quello di Di Salvatore è semplice e diretto. Si affermerà negli anni a venire, acquisterà in varietà e finezza, ma già da ora è sufficientemente vasto per interessarci e rassicurarci sul futuro. Allo stesso tempo ci permette di confidare in questo giovane artista sul quale già incombe il ruolo di educatore. Per ciò che mi concerne, sono entusiasta di poter annoverare in Italia artisti di questo calibro.

La fiducia nel proprio secolo e l'amore sincero per l'arte lo condurranno lontano. Coraggio mio caro Di Salvatore, voi combattete per una giusta causa e vincerete.

 


Garibaldo Marussi

(da "La Fiera Letteraria", 40. Roma, 21 ottobre 1951)

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Alla Galleria Bergamini, rinnovata negli ambienti, espone un gruppo di concretisti, capeggiato da Gillo Dorfles, da Bruno Munari e da Gianni Monnet. Qui siamo nel pieno di una concezione funzionale della pittura. Interessanti le ricerche di Monnet, orientate sulla colorazione di materie plastiche, da rivestimenti, nelle quali il disegno deve molto alla casualità della

miscela. Né lo sono meno le ormai notissime "Macchine inutili" di Munari, orientato oggi verso indagini di essenzialità, alla eliminazione del fondo del quadro onde renderlo esteso su di

una sola superficie, senza cioè dare adito ad

identificazioni di prospettiva o di volume. Così le estrose campiture di Di Salvatore, delicatissimo nelle gamme di colore. Così Soldati, tutto attento a cogliere un ritmo di movimento dalle

inanimate geometrie delle sue figurazioni.

 

Gianni Monnet

(prefazione al catalogo della mostra personale. Milano, Galleria Bergamini, 1952)

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Di Salvatore è entrato a fare parte del Movimento Arte Concreta: è questo un momento fondamentale nella vita del giovane artista. In

tale occasione la serie "arte concreta", edita da Salto, si arricchiva di una sua cartella, con prefazione di André Bloc, comprendente 10 linoleum originali ed un importante studio, "Il problema spazio" col quale tra i primi tentava di risolvere i problemi di sintesi tra le arti.

Di Salvatore è nato a Verbania-Pallanza nel 1924. All'attività di artista concretista, egli unisce quella di organizzatore del suo Istituto, di scrittore di saggi critici, e di pubblicista. Dal

1951 è membro di "Réalités Nouvelles"; ha partecipato a molte mostre collettive ed a tutte le manifestazioni di gruppo del MAC, oltre che a Milano, anche a Roma, Firenze, Chicago, Vienna, Monaco, ed attualmente a Buenos Aires, Rosario, Santiago.

Sue opere fanno parte di importanti collezioni private a Milano, Zurigo, Berna, Chicago, Washington, San Francìsco, New York, Parigi, Bangkok.

Tra i giovani la posizione di Di Salvatore è delle più nette e sicure di sé in un momento in cui molti, nelle giovani forze italiane, dubitano e tendono all'imitazione di vieti schemi stranieri, che portano notoriamente ad un disfacimento di tutti i valori.

Figura di entusiasta, di convinto della giustezza della propria causa, pur ritenendo l'assoluto rigore matematico indispensabile all'arte d'oggi, in Di salvatore vediamo spesso affiorare un

compiacimento coloristico tutto italiano e mediterraneo.

Di Salvatore è presentato, con varie riproduzioni di sue opere, nel più importante ed autorevole studio che sia stato fatto sull'arte italiana d’oggi, il numero "Italie 1951" della grande rivista parigina ‘Art d'Aujourd'hui’.

 

Sergio Bettini

(da “La Biennale”, 19-20. Venezia, 1954)

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Altra chiave offertaci dagli artisti è, per intentenderci epistemologica (in senso attuale, naturalmente),

o esistenzialistica (in senso lato).

Essa (p.es. Pevsner, Gabo, Di Salvatore, ecc.) tien conto della radicale apertura che lo stesso concetto dì spazio ha assunto nella filosofia e nelle scienze dei nostri giorni: le arti astratte, non figurative sarebbero il corrispondente intuibile di questa nuova concezione dello spazio a più dimensioni, o topologico, ecc.; uno spazio comunque non prospettico.

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Michel Seuphor

(da Dictionnaire de la Peinture abstraite. Ed.  Hazan, Paris, 1957)

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In Italia abbiamo già visto, il futurismo di Boccioni, Carrà e Soffici era talvolta molto vicino all’astrazione. Balla e Magnelli tuttavia erano i soli che, a quei tempi, avevano realizzato delle opere d'una astrazione radicale e voluta.

Severini, prima del 1914, aveva realizzato qualche opera astratta a Parigi. Dopo la guerra i pittori astratti sono molto numerosi in Italia. Ecco qualche nome: Vedova, Corpora, Burri, Di Salvatore, Capogrossi, Prampolini, Soldati, Dorazio, Reggiani, Santomaso. Parecchi tra loro sono assai conosciuti a Parigi e a New York.

 

Marco Valsecchi

(da "Il Giorno". Milano, 3 aprile 1957)

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Ma concreti od astratti che dir si voglia, è chiaro che la loro ispirazione non nasce sulle cose e sulle figure, ma sorge da quello "spirito di geometria" che potrebbe avere i suoi profeti in Euclide ed in Pascal.

Al di là di queste prime e generali informazioni orientative e per nulla ermetiche ritroviamo nomi consueti nelle esposizioni: da Reggiani a Munari, da Radice a Rho, da Galvano a Nigro... E ai nomi già fatti, per una preferenza anche personale, sono da aggiungere Bordoni, Bozzola, Di Salvatore, Dorfles, Levi Montalcini, Moretti, Somaini, ecc...

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Gio Ponti

(dalla prefazione a N. Di Salvatore, Rapporti arte/industria. Ed. Centro Studi Arte/ Industria, Novara, 1958)

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In questo libro di Nino Di Salvatore si prospetta una attività culturale e scolastica che "serve all'Italia". Il Centro Studi Arte/Industria di Novara, da lui creato e che la Nazione, la Provincia, la Città debbono sostenere ad ogni costo.

Io sarò ben felice se le mie parole contribuiranno al riconoscimento e consolidamento della sua appassionata iniziativa, attività provvidenziale per il perfezionamento della gioventù italiana, in questo settore di "importanza italiana".

La mia fede è che dalla sua scuola, rafforzata e consolidata come essa merita, da Novara continuino a sorgere dei "disegnatori" fedeli a quei valori di purezza che hanno nobilitato fin qui le più alte espressioni della nostra produzione industriale.

 

Simone Frigerio

(da "Aujourd'hui", 41. Parigi,1963)

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Dal contrasto tra forme e fondo, Di Salvatore tenta - ed il più delle volte riesce - di mantenere nelle sue pitture una tensione ritmo-spazio che le salva dalla monotonia. La fase attuale di quest'arte offre delle proposte interessanti.

 

Marcel Fryns

(da "Les Beaux Arts", 1010. Bruxelles, marzo 1963)

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Membro del `Movimento Arte Concreta dal 1948, Di Salvatore partecipò al fianco di Soldati, Munari e Veronesi al Movimento Costruttivista italiano di cui il X e l'XI Salone "delle nuove realtà" ci permettono di osservarne l'evoluzione.

Il fatto che Andrè Bloc scrivesse la prefazione alla prima mostra del pittore a Milano nel 1951, ecco che fissa con precisione l'orientamento concreto dell'opera. Questo preambolo storico

ha come unico obiettivo di chiarire la genesi di una grafia concreto-gestuale che potrebbe, senza questa referenza, apparire ambigua. L'esperimento tentato da Di Salvatore è un altro; non consiste nel rinnegare l'esperienza costruttivista, nè nel tralasciare la tecnica geometrica, quanto piuttosto nel trovare un punto di equilibrio tra gli antagonismi delle sollecitazioni estetiche: la forma e la non-forma.

 

René Massat

(da "XX Siècle", 21. Parigi, 1963)

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Un'emozione artistica è sempre di ordine astratto. Quando un artista trova in sè la risonanza che gli permette di rompere con le sollecitazioni venute da fuori, quando vibra in virtù di una sorta d'irritabilità interna la cui potenza di reazione gli appartiene, egli risponde all'iniziativa di un'armonia interiore, inscrivendo nei lati di una rappresentazione plastica i concetti di bellezza, emozione, equilibrio che scopre in sè. L’arte è perciò astratta nella sua necessità, nella permanenza di ciò che è, ma è evidente che, da quando si manifesta, conosce un inizio, prende coscienza della sua volontà di esprimersi e si elabora in esempio, ponendosi in luce in un'opera, cessa fatalmente di essere astratta.

Nella realizzazione di un'operato, che ha conosciuto dalla genesi delle trasformazioni efficaci, attraverso cui ha scoperto la ricerca più salda di una volontà di comunicazione, che ha perfezionato e modificato il suo linguaggio, l'esposizione di Di Salvatore è una tappa, un'avanzata, un momento più acuto di coscienza.

Di Salvatore possiede, in primo luogo, questa ostinazione appassionata, che si incontra raramente in coloro che non hanno qualcosa da dire. Di Salvatore ha la preoccupazione costante di non ripetere quello che gli altri hanno espresso prima di lui, è questa volontà di non tradire nè di lasciarsi tradire nella ricerca di un linguaggio personale che innalza costantemente il tono del suo messaggio. Di Salvatore sembra aver trattenuto da questa disciplina l'idea principale di mostrare, svolgere la totalità di ciò che esprime. Fu uno dei primi in Italia ad avvicinarsi all'arte astratta al fianco di Fontana, Munari, Soldati.

Qualsiasi artista che compie una ricerca, si trasforma affermando il suo stile, cioè il modo originale di dipingere che gli è proprio. Nelle ultime opere di Di Salvatore si ritrova la stessa vibrazione di colore, la stessa sensibilità di tratto al servizio di un'intenzione che trattiene, questa volta, lo sviluppo di un'avventura affettiva.

Sui colori di fondo dalle sfumature leggere, l'affermarsi dei tratti fa sorgere il significante valore dei contrasti, in seno ad un tema senza tregua ripreso e rinnovato. Partendo da un tema dato, dalla convenzione per cui ogni creazione dello spirito deve trovare il suo punto d'appoggio e conoscere il suo sviluppo, un artista vero scopre la sua misura. Mette alla prova la somma delle sue conoscenze, l'estensione della sua immaginazione e della sua sensibilità,deve riconoscerle nell'atto di scoprirle. Perché è proprio in questo atto che si capisce che egli ha fatto qualcosa che si pone nei limiti ragionevoli e sensoriali, irrefragabili, di ciò che poteva e di ciò che voleva.

A sua insaputa egli domina e approfondisce ciò che apprende attraverso un aspetto ancora ignorato dalle sue possibilità e da se stesso. E guardando le tele di Di Salvatore che si può cogliere la finezza delle variazioni a cui conduce questo modo di procedere.

Pascal ha distinto i `geometri' dagli `spiriti fini'.

Gli `spiriti fini' sono in grado di esercitare la loro analisi su oggetti appartenenti all'uso comune, ma sono poco disinvolti a discernere, per esempio, i sentimenti. I `geometri' sono capaci di ragionamenti su principi forti, netti, ma che si allontanano dall'uso comune: definizioni, assiomi, postulati. Di Salvatore, tenendo conto delle proprietà plastiche che caratterizzano la sostanza dello spirito di finezza (Esprit de finesse) e di geometria (Esprit de géomètrie), si sforza di organizzare la sua arte e ampliare la consapevolezza delle sue possibilità. Possibilità tecniche che si sviluppano parallelamente all'evoluzione del suo pensiero che gli fanno scoprire uno stile che compete alla sua sola coscienza umana.

Questo stile è alla stregua del pensiero che lo suscita. L'espressione del pensiero individuale, riunendo i principi posti sotto l'uso comune e lontani da questo, s'inscrive in forme originali con colori adeguati. Ogni pensiero, essendo contenuto in una composizione, contiene a sua volta una fase dell'evoluzione spirituale del suo autore.

 

Claude Rivière

(da "Combat". Parigi, 15 aprile 1963)

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Di Salvatore è un pittore italiano che dopo il 1946 ha abbandonato l'arte figurativa poichè le forme troppo conosciute, potremmo dire troppo usate, non fanno più nè pensare nè sognare.

Di Salvatore, dunque, è davanti alla sua tela e al suo dialogo. Questa dialettica può presentare qualche tranello e l'artista lo sa molto bene.

Egli è là, in dubbio come `Il tenebroso, il Sole nero della Malinconia'. Il grande dramma di Di Salvatore è la solitudine, ma proprio questo, questa trappola di sensibilità lo porterà ad astrarsi ed ottenere una vittoria personale. Vicino a Milano, sotto lo stesso cielo di Francesco d'Assisi, il pittore crea in perfetta umiltà, e comprendiamo perfettamente la gioia che si sprigiona dalla sua opera. Essendosi donato all'arte, egli sa concentrarsi ed in un sol colpo forma e colori s'innalzano sulla tela come una perfetta risoluzione dell'Eucarestia.

Qui interviene la cinetica, questa scienza che riassume la velocità dell'interpretazione e quella del gesto, poichè la pittura per Di Salvatore è, e resterà sempre gestuale.

Nel più grande silenzio l'artista comprende il mondo e lo sente con tutti i suoi dati sensibili, molto spesso più avanzato di quelli che esaltano la loro sensibilità per convincerci maggiormente, e spesso è solo un inganno.

Il pittore è allo stesso tempo un umorista: moltiplica i cerchi e i quadrati ma queste forme geometriche non sono fredde, sono il percorso di tutto il suo essere. La scelta dei colori ben lo sottolinea, siano essi complementari o in opposizione, Di Salvatore sa dove andare e ci conduce ad un sentimento universale che comporta molta grandezza.

Renè Massat, con la sua prefazione, introduce l'Esprit de finesse di Pascal nella sua esegesi del pittore. Proprio come il geniale pensatore, Di Salvatore vuole modellare una certa plasticità come un geometra, il cui pensiero è più arido e ingrato di quello incontrato nello spirito d'analisi.

Nella sintesi delle forme l'artista arriva ad una stabilizzazione razionale della sua plasticità, poi, in un sol colpo, come se passasse da una variazione di `meno infinito a più infinito', Di Salvatore esorcizza la rudezza geometrica, questo spirito di sintesi così ben definito da Pascal, e si avvicina allo spirito d'analisi, spirito più fine e più creativo del primo. Vedere questa esposizione è come ritrovarsi davanti una scommessa. E vi sono tali argomentazioni che nulla è lasciato alla facilità (nè al caso) e Di Salvatore alla fine vince la partita.

Molto legato a Fontana, il pittore lottando contro il tranello rappresentato da una falsa sensibilità, e il valore del silenzio che è in lui riesce ad abolire perfettamente nella sua opera tutto

ciò che potrebbe essere epigono. Questo artista conosciuto in tutto il mondo, che prossimamente esporrà a Bruxelles, è riuscito ad ottenere un'ulteriore vittoria, quella di Parigi, questa piovra, questo mostro a volte così ostile.

 

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Marcel Fryns

(prefazione al catalogo della mostra personale.Bruxelles, Galerie de la Madeleine, 1964)

 

È il passaggio dall'analisi alla sintesi, dalla descrizione alla definizione, che spiega l'evoluzione di Di Salvatore. La fase costruttivista di questo pittore portava il germe dell'esito sintetizzante che rivelano le sue attuali opere. [...]

La crisi dell'arte costruita, il vicolo cieco al quale la porta la logica stessa della sua dialettica, spronano Di Salvatore a cercare una via d'uscita, a trovare un'espressione plastica in cui il segno si apra. Le necessità intrinseche di un tale proposito giustificano la ricerca febbrile di un nuovo equilibrio. Questa preoccupazione di trovare un nuovo ordine al termine dell'esperienza costruttivista è comune a numerosi pittori, compresi quelli che ci si ostina a qualificare come costruttivisti [...].

La questione non è di rinnegare l'esperienza costruttivista, di trascurare il geometrismo, ma piuttosto di trovare un punto d'equilibrio tra gli antagonisti delle sollecitazioni estetiche: la forma e la non-forma.

L'evidenziazione del segno si effettua su un fondo gestuale, su una superfice animata. E’nel seno stesso di questo universo, la cui sorgente è il gesto, che nasce e si sviluppa l'elemento costruito.

La separazione tra il segno e la sua area d'espansione è solo apparente. Così mi sembrerebbe errato parlare di fondo informale. Il gesto così è organizzatore; è lui che ordina e prepara la superficie sulla quale nascerà l'elemento geometrico.

L'uso simultaneo e quasi esclusivo di archetipi come il cerchio ed il quadrato porta ad un'esegesi d'ordine simbolista. Tuttavia l'interpretazione limitata al solo contesto plastico mi sembra sufficiente a legittimare una scrittura la cui originalità è d'inserire il pretesto oggettivo in un campo d'azione gestuale.

La parte di sollecitazione biologica che comporta la pittura gestuale è bilanciata, senza essere contraddetta, dall'affermazione concreta; questo raggiungimento dell'equilibrio, questa risoluzione dell'analogia dei contrari è anche, e soprattutto, il segno di un'arte che ha raggiunto la sua unità.

 

Giovanni Marangoni

(da "Marcatrè". Genova, marzo/aprile 1964)

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Tra gli artisti che per primi si sono interessati di arte cinetica (nelle sue più alte accezioni di arte programmata, opera aperta, opere moltiplicate) sono da ricordare Wladimir Tatlin con i suoi "Controrilievi" del 1914; Marcel Duchamp ("Rotary glass plaques") del 1920; Naum Gabo ("Construction spatial cinétique" e "Sculpture cinétique-moteur") entrambe del 1920; e via via sino al "Lichtrequisit" di Moholy-Nagy (1930) e ai "Motormobiles" di Alexander Calder del 1932.

Tutte queste esperienze non sono ignorate dagli italiani (nel 1933-34 Bruno Munari presenta la sua "Macchina inutile n.2") e si concretizzano nella mostra del 1952, allestita alla Galleria della Annunciata di Milano, cui partecipano Munari, Di Salvatore, Veronesi, Tovaglieri, Iliprandi, Asinari, Bracchi, Muggiani. Dopo ritorna il silenzio presso chè assoluto, rotto soltanto dalla voce isolata di Bruno Munari, cui più tardi si unirà quella di Enzo Mari. Si arriva così al 1959, momento in cui gli artisti, abbandonate le ricerche di tipo individuale, si riuniscono in équipes dando vita alle attività di gruppo fondate sul principio del metodo di indagine collettiva.

 

René Massat

(da "La Galerie des Arts", 16. Parigi,maggio 1964)

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Comprendere un'opera d'arte consiste nel porsi, per prima cosa, dal punto di vista del suo creatore, nel partecipare alla sua visione plastica, nel sentire profondamente qualcosa della sua intenzione. È stabilire una corrispondenza che subito fa nascere la differenza tra la comprensione e la spiegazione. La spiegazione esige un'analisi dei dati dell'esperienza, e delle combinazioni d'idee e d'ipotesi elaborate dalla ragione.

Bisogna, d'altronde, distinguere la comprensione scientifica, che non si può separare dalla spiegazione - comprendere significa qui, integrare in un insieme intelleggibile -e la comprensione estetica, che è di altra natura.

Comprendere un'opera d'arte è, principalmente, partecipare all'emozione dell'artista, cioè ricondurre ciò che sembra estraneo al soggetto a ciò che è nell'ordine dell'emozione, ed assimilarlo per simpatia. Ma la comunione delle coscienze è cosa difficile, e si possono commettere degli errori, provando ad entrare nei sentimenti altrui. Bisogna dunque, noi crediamo, a fianco ad una corrispondenza dovuta solo all'intuizione ed alla simpatia, provare a decifrare anche un quadro in modo intellegibile.

Queste riflessioni, suscitate dalle tele di Di Salvatore, mi hanno aiutato ad afferrare il pensiero di questo artista, del quale, in seguito, ho avuto la possibilità di segnalare lo sforzo paziente e sincero.

Ciò che innanzitutto colpisce, nella pittura di Di Salvatore, è una volontà di vincere un sentimento di difficoltà nel suo desiderio di comunicazione con i suoi simili, e la sua esigenza di imporne i metodi.

Di Salvatore crea il suo linguaggio, il cui tracciato s'ispira alle rappresentazioni simboliche, sottomesse però ad un'interpretazione personale. Il cerchio ed il quadrato, in un confronto costantemente ripreso, svolgono le possibilità, e le necessità di scambio dei contrari, all'interno di un tema plastico, nato, sembra, dal desiderio ostinato di uscire da un universo chiuso, nel quale una speranza di comunicazione spirituale sembra girare su se stessa e cozzare contro i limiti che fanno di ciascuno di noi un essere separato.

I contorni violenti che cingono di forme, nate organicamente da una concezione della geometria sensibile, ma che abbandonano il rigore dei tracciati per adattarsi meglio al contenuto colorato delle figure e dal carattere spesso informale del fondo, inscrivono un'idea di desiderio mai raggiunto, di distanze mai abolite.

Questa ricerca continua fa di Di Salvatore un artista che si amerà seguire, poichè la sua opera con-

tiene in germe questo spirito di ricerca che caratterizza la nostra epoca.

 

Gisela Pfulgbeil

(da una lettera a Guido Forghieri. Locarno,1964)

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Una via lunga, erta e piena di lavoro, conduce alle ultime opere di Nino Di Salvatore. I suoi lavori sono comunicazioni di un essere liberato, conquistato con la purezza del pensiero; fondato nella fede in una nobile esistenza umana. Le sue pulsazioni si trasmutano in dipinti e questi in preghiera, poiché il suo posto lo cerca solo accanto a Dio. Un Dio infinito e severo, che dimostra la sua vitalità in ogni atomo. Nino Di Salvatore, da oltre 25 anni in confidenza con le tecniche pittoriche, conferisce alle sue superfici di un blu e di un verde della massima intensità  la difficile capacità, che appare quasi impossibile, di reggere disegni di un nero profondo e di liberarli. Le sue linee, che da tempo hanno superato la geometria, rilucono nei loro centri di una vitalità spontanea dei colori e di movimenti armoniosi. Questo pittore ha scelto un modo molto difficile, ma meraviglioso, per co- municare con noi e per questo lo ringraziamo, arricchiti nell'anima.

 

Thomas D'André

(da "Le Arti", 12. Milano, 1965)

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Negli anni attorno al 1950 nasceva a Milano, più precisamente nel 1948, nel clima eccitato della libreria Salto di Milano il "Movimento Arte Concreta", destinato poi ad assumere il nome di "Espace". Ne erano fondatori Atanasio Soldati, Gillo Dorfles, Monnet e Bruno Munari. Il Movimento si rifaceva alla lontana a concetti già espressi da Kandinsky, ma soprattutto da Van Doesburg e da Mondrian e impostava il proprio operare per distinguersi dal generico astrattismo corrente e per contrastare il post-cubismo che, allora in Italia, aveva trovato serque di imitatori pedissequi ed esteriori.

Era evidentemente un ergersi della ragione contro tutte le istanze postromantiche e neo realiste del momento. Ed era un modo mentale, generato dalle correnti filosofiche e scientifiche più avanzate, di studiare e creare uno spazio, come scrisse il Bettini, a più dimensioni., uno spazio non prospettico.

Al gruppo si associò Di Salvatore, che ha presentato recentemente alla Galleria Flaviana di Locarno una compiuta serie di opere, tutte strettamente legate l'una all'altra, precedute in un bel catalogo, da un lungo saggio del Di Salvatore stesso, nel quale egli spiega non soltanto le ragioni della propria pittura, ma quelle di tutta una corrente dell'arte contemporanea, quella cioè più strettamente legata alle conseguenze dell'esperimento del Bauhaus. Vi sono toccati anche punti pratici, dei quali si rivela particolarmente interessante il rapporto arte-industria e la configurazione che nel mondo moderno viene ad assumere il designer. Ma, trascurando per un momento la trattazione estetica dell'argomento, qui appare in tutta la sua drammaticità la validità della confessione dell'artista: "Lo spirito muore alla vita quando perde le sue caratteristiche, che sono la motilità, l'inafferrabilità, la difficoltà delle definizioni assolute. E allora possiamo attenderci dall'artista una definizione della sua opera quando sarà spiritualmente morto alla vita, ovvero: quando la sua opera non è più valida".

Ecco perché Di Salvatore intitola tutte le sue opere recenti "archetipi oggettivi", il risultato raggiunto è pur tuttavia controllato da una ricerca che scava dentro al cuore delle cose, per fissarle - là dove è possibile - nel loro valore di assoluto.

 

Gillo Dorfles

(prefazione al catalogo della mostra personale. Locarno, Galleria Flaviana, 1965)

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Di Salvatore fu tra i primi ad accostarsi a quel movimento per l'arte concreta (MAC) che, negli anni attorno al `50, aveva raccolto a Milano alcune delle forze più vive della giovane pittura italiana (basti citare i nomi d'un Munari, d'un Soldati, d'un Fontana), preoccupate di opporsi al dilagare del postcubismo e del realismo sociale, e miranti invece a restituire all'arte un rigore ed una nuova dignità compositiva. Sono di quell'epoca numerose opere ``concrete'' (ossia totalmente avulse da ogni figurazione persino simbolica ed allusiva) nelle quali Di Salvatore mostrava, da un lato d'aver inteso la lezione dei grandi costruttivisti e neoplasticisti d'oltr'alpe, ma, dall'altro lato, d'aver sviluppato una sua precisa visione plastica del mondo.

 

Guido Forghieri

(da Di Salvatore e l'inizio del Gestaltismo in Italia -catalogo in occasione della proiezione del film gestaltico Di Salvatore – Archetipo oggettivo 1966, nell'ambito della mostra "Nuove tendenze. Arte programmata italiana". Comune di Modena, Sala della Cultura, gennaio/febbraio 1967)

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Scrivendo dell'"azione delle forme-tipo in movimento" (v. "Idea del bello concreto") Di Salvatore sviluppa i principi del gestaltismo in "arte cinetica" ed insisterà su questo sviluppo scrivendo, sul n. 7 del luglio 1953 di "Réalités Nouvelles" di Parigi: "Une forme bien déterminée, rationnelle et plastique, où les problèmes de l'espace sont confrontés et résolus avec une experience sùre et de la spiritualité. Le rythme organique de l'art actuel et de la vie est ici.

D'autre part, les formes-type en mouvement ont leur origine dans les racines profondes et significatives du monde physique, biologique et organique, et pour cette raison nous y participons avec toute notre humanité d’etres physiques, biologiques et organiques. L'art actuel est le plus humain des arts de siècles écoulés".

A queste nuove scoperte - non dimentichiamo iniziate nel 1950 - già lontane dal ‘concretismo’ italiano, faranno seguito opere, altrettanto anticipatrici delle attuali tendenze, dove la presenza delle forme-tipo come strutture di ripetizione è il dato che le unisce in "tendenza", ed in seguito le vedrà porsi in movimento. Donde la definizione di "arte cinetica" il cui più vistoso esempio è stato offerto da Le Parc durante la recente Biennale di Venezia.

Alcune opere "cinetiche" di Di Salvatore furono esposte nel 1952 alla Galleria dell'Annunciata di Milano. Altri riconoscimenti della creatività anticipatrice di Di Salvatore verranno, sulla base della documentazione già ampia esistente.

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Fabio S. Pignagnoli

(da Cenni per un'analisi fenomenologica dell'arte di Di Salvatore, catalogo in occasione della proiezione del film gestaltico Di Salvatore - Archetipo oggettivo 1966, nell'ambito della mostra `Nuove tendenze. Arte programmata italiana". Comune di Modena, Sala della Cultura, gennaio/febbraio 1967)

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La pittura di Di Salvatore offre più di un motivo alla ripresa del discorso sull'astrattismo, di cui egli è qualificato esponente in Europa, mediante  strumenti critico-ermeneutici nuovi e, in base al metodo fenomenologico e alla psicologia della Gestalt, più "tecnici" che non quelli della passata critica estetica, fin ora invalsa.

Questa infatti, ancora troppo condizionata dalle estetiche romantiche e post-romantiche, commisurava il giudizio di valore a parametri incapaci per loro natura a cogliere quanto di peculiare e di originale vi era in quei mezzi espressivi: era logico quindi che essa si attardasse  quasi esclusivamente sulla legittimità del diritto di cittadinanza dell'astrattismo in campo artistico, finendo spesso per relegarlo ai margini dell'Arte, "tout court". Come ammettere una pittura non figurativa? E, concesso pure che essa potesse coesistere accanto alla pittura figurativa, come non attribuirle un valore precario e transeunte, come non ritenerla una delle tante esperienze destinate a durare “l'éspace d'un matin", insieme alle molte esperienze post-impressioniste, post-espressioni-

ste, post-cubiste?

Oggi, invece, c'è un clima culturale mutato, e un giudizio di valore è meno condizionato da quei preconcetti. Oggi più viva è la componente culturale, impreteribile, della coscienza epistemologica e tecnologica dell'uomo contemporaneo. Ed è gran merito di artisti come Di Salvatore, ora che l'astrattismo non è più “pittura alla moda", da dilettanti, se quest’arte, rivissuta anche con l'apporto gestaltico, sollecita appunto una rivalutazione. Pensiamo che pochi, oggi, si sentirebbero di non sottoscrivere l'affermazione di uno dei più sereni e qualificati studiosi dell'astrattismo: "... doveva esistere una pittura interamente svincolata dalla tutela della figura e dell'oggetto, che potesse – come la musica - nella totale indipendenza da ogni illustrazione o aneddoto o mito, esprimere i luoghi incomunicabili dello spirito, là dove il sogno si fa pensiero, dove la cifra diventa essere, dove l'analogia diventa rapporto e ritmo" (M.Seuphor, Pittori astratti, Milano 1962, p. 284).

Ai fini dell'auspicata nuova prospettiva critica, notiamo anzitutto che in Di Salvatore non c'è, dal 1950 ad oggi, l'operare all'insegna della protesta, del gesto o polemico o gridato, ma c'è il valore di una fedeltà alla connaturata vocazione ad ascoltare le voci interiori, c'è la scoperta allo stato puro, germinale.

La protesta si riduce in lui a quanto è sempre inevitabilmente implicato nel "nuovo", come frattura di un contesto tradizionale: presa di coscienza, questo sì, dell'esaurirsi dei cicli impressionistici, espressionistici, con tutte le varianti loro, protesi a significare più o meno intenzionalmente l'inquietudine, l'alienazione, la dissociazione interiore dell'uomo contemporaneo. C'è in questo artista, come dato fondamentale immediatamente percettibile, il suo collocarsi alle radici prime e più riposte della vita alborale della coscienza, nell'ascultazione dei ritmi misteriosi delle percezioni irriflesse. Ciò che, infatti, contraddistingue inconfondibilmente la pittura astratta di Di Salvatore, va ricercato nei plessi e negli elementi primigeni alla sorgente della vita psichico-percettiva. I quali regolano e condizionano ogni ulteriore visione "programmata" delle antitesi e delle armonie, attraverso la "cifra matematica', componente tipica essenziale del suo linguaggio pittorico. Per queste ragioni. ci sembra che una "comprensione" più adeguata di quell’arte possa ottenersi mediante l’ausilio insostituibile del metodo fenomenologico proposto da Husserl ed esemplato a strumentazione critico-estetica da R.Ingarden in Fenomenologia dell’opera d’arte. La riflessione estetica si avvale qui tanto dei diversi modi d’orientamento spaziale dell’oggettività raffigurante, quanto del “centro” di orientamento – “il punto zero di orientamento" come dice Husserl - nel soggetto percipiente. L'analisi fenomenologica in questo senso, poi, proprio in ragione delle varianti o gestaltiche o strutturali di cui l'astrattismo s'è arricchito, può consentire l'applicazione tanto dei risultati della "psicologia della forma" quanto delle indagini "strutturali" (v. in proposito gli scritti di Gillo Dorfles e di G. C. Argan). Gestaltismo e Strutturalismo diventano strumentazioni "tecniche" del campo fenomenologico; ed è l"'intersoggettività", componente essenziale della Fenomenologia, che li può, li deve sussumere, consentendo così un'analisi estetica più corrispondente, più idonea alle "costanti strutturali" creative-operative nell'opera d'arte stessa

(v. Segni di Merleau-Ponty). È quanto si ritrova, allo stato creativo incandescente, nell'arte di Di Salvatore. Per comprendere il senso di questa analisi fenomenologica, bisogna procedere anzitutto a togliere la contrapposizione dialettica, costante nella cultura occidentale, tra arte e ragione, per giungere a vedere nell'arte un "pensiero irriflesso". L'arte, quindi, non come gioco o di abbellimento o di intimistiche emozioni, inferiore al pensiero raziocinante ma come strut-turazione soggettiva del mondo e conquista dell'aspetto strutturale di esso nei ritmi stessi, nelle guise percettive della vita di coscienza.

L'arte come sintesi percettiva di una "forma" (Gestalt) eidetica, soggettiva e oggettiva insieme, liberamente programmata. Di Salvatore esprime e rivela questo modo originario di sintesi: nel ritmo, "programmato" eppur libero, delle forme archetipe del quadrato e del cerchio, in uno spazio ora piano ora curvo secondo una prospettiva non più "classica".

Lo esprime nel rapporto spaziale, statico e cinetico, visuale e plastico, delle archetipe forme della percezione, alla radice dell'io e della visione cosmica. C'è nell'arte di Di Salvatore, se riguardata sotto il profilo di un'estetica filosofica, una sintesi innovatrice tanto del cartesiano "esprit de géométrie" quanto del pascaliano "esprit de finesse".

Nessuno contesterà il merito in sede storica d'esser stato Di Salvatore il primo, da noi, ad arricchire i suoi modi espressivi degli apporti del Gestaltisrno. Ma, questo elemento "costruttivista" non depaupera quella sua originaria e personale sintesi, che è appunto creatività autentica, fondante il mondo spirituale dell'artista. Altri, in ragione di un'adesione meno libera agli esiti "gestaltici", potrà scadere nel semplice artificio, nella vibrazione meramente sensitiva. Di Salvatore no, dacché quel “pensiero irriflesso" struttura, ma creativamente, il ritmo misterioso delle antitesi e delle armonie.

Si passi in rassegna la sua opera e mai s’avrà l'impressione di artificiosità, di tecnicismo, di "decadentismo", di rinuncia alla comunicazione. È per questo che, sentendo in noi l'esigenza come di ricomporre i termini "primitivi" del linguaggio pittorico, di rifare il cammino alle sorgenti, dopo tante e così varie stagioni artistiche, da queste opere di Di Salvatore possiamo cogliere un contributo ineludibile alla ricerca del mondo spirituale di oggi e di domani.

 

Giulio Carlo Argan

(dalla prefazione al catalogo della mostra della Scuola Politecnica di Design di Novara. Milano, Galleria Civica di Arte Moderna, 1968)

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Con perfetta onestà Di Salvatore ammette che fondando nel 1954 la Scuola Politecnica di Design di Novara, si proponeva di fare una Bauhaus italiana. In quel periodo si sono avute in Italia parecchie iniziative dello stesso tipo, da parte di organizzazioni professionali, di gruppi industriali e perfino dello Stato: salvo quella di Novara, nessuna è arrivata in porto. Motivi dell'insuccesso: la differenza oggettiva del secondo dopoguerra rispetto al primo, il fiacco interesse della grande industria al miglioramento qualitativo dei prodotti; il nessun desiderio dello Stato di riformare il decrepito apparato dell'insegnamento artistico.

Tuttavia la Scuola di Novara, malgrado le difficoltà, è stata fatta ed è andata avanti da sola: e questo è tutto il segreto della sua stabilità e del suo progresso. Il merito è della avveduta, equilibrata ma soprattutto limpida politica del suo fondatore e direttore, che ha salvaguardato l'assoluta indipendenza della Scuola evitando di comprometterla ma anche di isolarla. Artista ben noto per la sua chiara, rigorosa linea di ricerca, Di Salvatore si è guardato dall'imporre alla Scuola uno stile, ma è stato fermissimo nell'imporle un metodo. Con una modestia che in realtà era lucida intelligenza della situazione, ha rinunciato a fare il pioniere: la ricerca progettistica, anche nel senso della qualità estetica del prodotto, non era più una novità, anche in Italia dava da tempo risultati apprezzabili. Base dell'insegnamento doveva dunque essere l'informazione e il metodo, un metodo critico. All'esigenza creativa - contenuta fin da principio nei limiti di una precisa "Gestaltung" - bisognava dunque anteporre un'esigenza d'ordine: e tenere presente che il design ha le sue radici nel costume. La posizione del designer nel ciclo della produzione industriale non può essere quella del subalterno che si presta servilmente alle mire di profitto dell'imprenditore; ma non può neppure essere quella dell'oppositore per principio o del ribelle, che lo porrebbe semplicemente nell'impossibilità di fare il suo mestiere. Tra questi due estremi non v'è una posizione intermedia o di compromesso, ma può esservi una posizione diversa ed autonoma: quella di chi, operando con una data finalità pratica, non perde di vista le ragioni prime, istituzionali della propria disciplina. A formare questa coscienza ed a collegarla a tutti gli atti dell'operatore estetico mira essenzialmente il metodo rigorosamente scientifico di Di Salvatore e dei suoi collaboratori della Scuola di Novara: il designer, nella pratica della sua vita quotidiana nell'azienda, deve farsi forte di una "scienza", non meno dell'ingegnere o del chimico.

Applicare una scienza non significa asservirla; e la ricerca estetica è, di pieno diritto, ricerca scientifica. Il principio programmatico della Scuola di Novara, infine, si può riassumere in due parole: metodologia = deontologia. Con tutte le conseguenze che ne discendono in un'epoca e in un sistema, in cui la scienza è nel migliore dei casi, una virtù insidiata.

 

Franco Passoni

(da Enciclopedia Universale Seda della pittura moderna. Milano,1968)

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Di Salvatore s'appalesa insomma come un autentico artista, nel senso più completo, anche perché inserendosi nei filoni storici di continuità con la sua adesione al MAC (Movimento Arte Concreta) nel 1948, derivati dal processo di ripensamento sul "costruttivismo" di Maleviç e Tatlin, sul "concretismo" di Vordemberge, Mondrian, Van Doesburg, Vantongerloo, iniziato nel dopoguerra in opposizione al dilagare del postcubismo e del realismo sociale, Di Salvatore con l’apporto illuminato ed individuale di nuove ragioni di ricerca che superassero un certo “impasse” d’imitazione, s’indirizzava alla formulazione intuitiva - già nel 1950 - delle prime teorie gestaltiche applicabili all’arte... In quegli anni d’inizio della seconda metà del nostro secolo, Di Salvatore iniziava in pittura una nuova via originalissima ed anticipatrice che, in seguito, venne riproposta ed ampliata per le sue formulazioni teoriche sull’arte programmata, e da tutte quelle attuali correnti di derivazione gestaltica: cinetiche, opere visuali, percettive, primarie ed oggettive.

 

Michel Seuphor

(prefazione al catalogo della mostra personale. Basilea, Galleria Bettie Thommen, ottobre 1968)

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L’opera di Di Salvatore di questi ultimi anni è una felice alleanza di fattori positivi. In primo luogo, si inserisce esattamente nello spirito del tempo, intendo dire che è una pittura che non potrebbe appartenere a nessun’altra epoca se non la nostra. Quest’epoca viene dopo il cubismo, più particolarmente dopo gli ultimi esiti del cubismo: Mondrian e Maleviç. La rottura che è compiuta con questi due giganti ci ha aperto una vasta pianura per i giochi dello spirito geometrico. Di Salvatore partecipa a questi giochi per vent’anni con diversa fortuna. Ed ecco che il suo gioco è diventato quello di un maestro, adopero questo termine per dire ‘maestro di ballo’.  In effetti, c’è qualcosa in lui del corifeo, tanto coincidono la forza e la grazia nelle sue nuove opere. Ecco dunque il secondo fattore positivo. Questa totale sottomissione allo spirito del tempo non esclude l’originalità: essa è, qui, irrecusabile. La libertà d’espressione ha raggiunto il rigore del concetto.

Il cerchio ed il quadrato - sintesi di tutte le figure geometriche sono ovunque presenti nella loro più grande semplicità, ma il linguaggio che le esprime e le accompagna è completamente rinnovato. Il lirismo si accompagna alla geometria pura e, talvolta, a una certa violenza. E’, propriamente, il grido integrato nello stile. Al linguaggio delle forme più elementari si è aggiunto il colore vivo. E lo stupore è che il linguaggio semplice non è alterato da questa veemenza, ma è rinnovato, liberato dai suoi dogmi. E lo sguardo incontra un nuovo canto.

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Riccardo Barletta

(da “Gala”, 36. Milano, giugno-luglio 1969)

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La personalità di Di Salvatore come fondatore e animatore della Scuola Politecnica di Design di Milano e di Novara, è ormai nota e apprezzata sempre più ampiamente in Italia e all’estero;

fin nel Giappone e nelle Americhe. Giusto riconoscimento, di un’opera insieme rigorosa e ardimentosa, cui non fa riscontro un’adeguata conoscenza della sua attività di artista. Destino naturale, per chi lavora in più versanti, il design e la pittura (nel caso di Di Salvatore, si aggiunge che egli ha esposto molto più all’estero che da noi). Tuttavia, anche per capire la sua personalità complessa, (li teorico e di operatore nell’ambito della pedagogia del design, è indispensabile poter valutare globalmente la sua ventennale produzione artistica. Il che non è stato mai fatto prima di questo scritto. E poter vedere riunita la sua opera pittorica, incisoria e di scultura. Il che è sperabile si realizzi da parte di qualche galleria privata, o della Bien-nale, specialmente nel quadro del ventennale di fondazione di quel Movimento Arte Concreta (che si è rivelato assai ricco di personalità e di istanze culturali). Dal 1948 Di Salvatore partecipa attivamente al Movimento Arte Concreta di Milano. Dal 1951 è membro del Salon des Réalités Nouvelles di Parigi. Nel 1954 fonda a Novara la prima scuola di design; da questo momento la sua vita sarà assai assorbita dai problemi concreti dell’insegnamento, senza però che la pittura venga abbandonata. Il design, come molti sanno, presenta il pericolo dell’estetismo tecnologico, freddo e funzionalistico.

L’attività d’artista ha posto Di Salvatore su una diversa piattaforma; quella prioritaria, della creazione. Al designer Di Salvatore richiede infatti (vedi  il suo libro “Rapporti Arte Industria”) tre forme fondamentali di pensiero: romantico-fantastico-intuitivo, concreto-obiettivo-realistico, astratto-teorico-sistematico. La prima e l’ultima sono in lui ben evidenziate; come pittore e come teorico. Teorico nell’ambito dell’arte moderna, Di Salvatore lo è stato con due scritti: “Il problema spazio” (1951), “Idea del bello concreto” (1952).  Fondamentali ambedue, perché in essi è presente, per la prima volta in Italia, la volontà di strutturare la creazione sulla base del gestaltismo. Anticipazione di dieci anni e più sulle ricerche pop e visuali!

Nel periodo d’adesione al Movimento Arte Concreta la sua arte mostra due aspetti: inizialmente, egli cerca un continuum formale, di tipo rigorosamente geometrico, relativamente a un impianto che può ancora conformarsi in un lontano ricordo di figure o di paesaggi: è il caso di ‘Idea di spazio curvo concreto” (1949), di una solare festosità di colore; successivamente, la ricerca si fa più assoluta, basata su piani relazionati dalla tensione di linee curve. Si verifica la coordinazione dell’esigenza strutturalista con quella spazialista. Per Di Salvatore la forma è una struttura spaziale; ma lo spazio stesso. che non è astrazione né corpulenza, bensì oggettività e concretezza, è per Di Salvatore ‘forma”. Precisamente è “quarta dimensione” non fisica ma metafisica; o, come egli ha scritto, “lo spazio è folgorazione della forma”. Quindi non dimensione né tattilità. Bensì “qualità”; agente nell’intelletto e nel profondo dell’uomo.

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Guido Ballo

(dalla prefazione al catalogo della mostra personale. Milano, Galleria San Fedele, 4-23 dicembre 1972)

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Già quando partecipò, nel dopoguerra, al Movimento Arte Concreta (MAC), Di Salvatore creava ritmi rigorosi, in cui gli interni richiami spaziali si modulavano fantastici sul piano della pura percezione visiva. Ancora oggi, diverse sue composizioni di quegli anni resistono e s’impongono per l’intensità coloristica di analogie musicali, con sottili dissonanze. Ma già in quel tempo si accorse che un coerente sviluppo della gestalt, per essere approfondito, non poteva limitarsi alla purezza pittorica: doveva sfociare anche in altre tecniche e soprattutto programmare strutture, funzioni, studiare le leggi del ritmo, penetrare nella psicologia della forma, scoprire con occhi nuovi la dinamica della visualità.  In questi ultimi anni le composizioni - e mi riferisco a quelle che considero le più interessanti presentano dei nuclei netti, geometrici, modulati con rigore, ma in una dinamica che sposta con fantasia varia i centri focali.  Si ricongiunge così alla prima attività espressa già nel periodo MAC, con una tensione più risentita ed acre. Di Salvatore conferma così una nitida coerenza, senza dubbio rara tra gli artisti di oggi.

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Tommaso Trini

(da Nino Di Salvatore, in “Corriere della Sera”. Milano, 14 dicembre 1972)

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Notissima figura di pedagogo nel campo del “design”. Di Salvatore ci rammenta con questa ampia retrospettiva di essere stato pittore, di esserlo ancora. L’occasione di un bilancio, dunque; un bilancio che in parte riguarda anche le sorti dell’arte concreta nell’immediato dopo-guerra. Nel ‘48, a Milano, il MAC (Movimento Arte Concreta) si rifà alle fonti dell’astrattismo geometrico europeo, contro il postcubismo e il realismo socialista; ma il riaggancio, forse meccanico, forse affrettato, non fornisce rilanci innovativi. Stranamente, è in questi ultimi anni che “le ragioni astratte” (titolo di un bel libro di Paolo Fossati su quel periodo) ritornano attuali nella ripresa di interessi, non solo critici, per gli Astratti di Milano e Como degli anni 30. La pittura di Di Salvatore è comunque interessante soprattutto ai suoi inizi, presa come è da problemi puri: la forma come struttura spaziale, lo spazio come “folgorazione della forma”. Nel ‘48, dunque, Di Salvatore aderisce al MAC e ai suoi temi: la psicologia della visione (Gestalt); la sintesi delle arti. Nel ‘54, fonda la prima (e finora unica) scuola di “design” italiana, l’attuale Scuola Politecnica di Design di Milano e di Novara. Tra le due date, un destino: quello di applicare e diffondere socialmente le acquisizioni di un’arte che vuole incidere nella realtà (l’utopia della Bauhaus). Molti degli aderenti al MAC diventeranno infatti “designers”, critici, sperimentatori di nuove tecniche.

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Bruno Munari

(prefazione al catalogo della mostra della Scuola Politecnica di Design di Milano.  Milano, Museo Nazionale della Scienza e della Tecnica Leonardo da Vinci, novembre 1973)

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Dal 1954 N. Di Salvatore, un artista visivo che dal 1948 faceva parte del MAC (Movimento Arte Concreta), e che in Italia fu il primo, nel 1950, a scoprire le strumentazioni gestaltiche per i processi estetici, fondò la prima scuola italiana di design tuttora efficiente a Novara, ed oggi anche a Milano. Egli aveva interessi teorici, artistici e didattici, sentiva l’importanza di una scuola diversa e provò a dar vita a quest'organismo. Solo e con le sue sole forze.  Sa benissimo che la sua scuola non è ancora co-me dovrebbe essere, ma sa anche che è già mol-to avanti e più ancora lo sarà. Le difficoltà sono molte, come tutti sanno, dalla formazione e disponibilità dei docenti qualificati al materiale didattico. Ma Di Salvatore le ha già superate, e si avvicina il giorno che riuscirà a portare la Scuola Politecnica di Design di Milano alla massima efficienza. Già studenti usciti dalla sua scuola lavorano od insegnano con piena soddisfazione, la scuola è conosciuta nel mondo ed i designers che sentono anche il problema didattico farebbero bene a collaborare.  Occorrerebbero diverse scuole di design, in Italia, e non solo scuole universitarie come questa di Milano ma anche scuole elementari di design, così l’individuo arriverebbe agli studi superiori senza dover cancellare gran parte del vecchio insegnamento per assorbire il nuovo.

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Alberto Veca

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(dalla prefazione al catalogo alla mostra “Di Salvatore 1946/1974”. Verbania Intra, Galleria d’Arte Lanza, aprile 1974).

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E’ inevitabile, parlando della pittura di Di Salvatore, inquadrarla nel più vasto discorso scientifico e culturale in cui l’artista opera: il teorico gestaltico come il designer, come il fondatore e direttore della Scuola Politecnica di Design, sono tratti di personalità che incidono profondamente sul far opera, la sua valutazione, la sua qualità. Ma leggere l’opera di Di Salvatore alla luce delle sue esperienze scientifiche sulla psicologia della forma o della percezione sarebbe fuorviante: in realtà l’operatore incarna fisicamente le tendenze contrastanti di una ricerca espressiva che stabilisce progettualmente, ideologicamente, le funzioni che i diversi oggetti prodotti assumono: questo per l’urgenza sempre più pressante di una distinzione nell’operare che non si esaurisca, in teoria o in pratica, nell'adozione dell'uno e nella condanna dell'altro.

In questa prospettiva può essere oggi considerata come una delle variabili fondamentali della progettazione artistica la capacità dell'immagine di suscitare, sostenere una attività critica, riflessiva nei confronti dell'immagine stessa e della memoria semantica che l'ha generata. Qualora questo interesse alla sfera comunicativa come "contratto sociale" sia formula determinante del modo di formare l'opera, qualora cioè esista, a livello di struttura dell'immagine, un discorso metalinguistico, l'opera stessa acquista e mantiene una sua ragion d'essere culturale; proprio perché i principi della sua convenzione sono inquisiti e resi evidenti, da una parte, dall'altra sono scelti come già orientati, tendenziosi e mai falsamente oggettivi, o interamente soggettivi. Avviene in altre parole l'eliminazione di qualsiasi radice “naturale" - esterna o interna all'uomo - del far opera, laddove la gamma espressiva nasce all'interno dell'artificiale, dell'arbitrario denotato o del motivato arbitrariamente connotato.

L'opera di Di Salvatore mette in atto convenzioni iconografiche diverse, la cui nomenclatura semantica viene posta come omologa: questa intenzione permette l'iterazione di un evento, una situazione, nella variabilità morfologica degli elementi. In altre parole siamo di fronte all'adozione di un codice espressivo incernierato sulla relazione forma-materia-colore, dove per materia si deve intendere il modo diverso di trattare il colore come intensità, tonalità e stesura: Di Salvatore rende cioè pertinenti alcuni elementi di fondo delle categorie espressive della forma, della materia e del colore operando, nella formazione dell'opera, degli incroci all'interno dei diversi livelli.

La formazione dell'opera avviene in presenza di ventagli di possibilità espressive dati aprioristicamente, ventagli i cui gradi corrispondono a diversi "significati" attribuiti: la campitura piana e la campitura materica, a esempio, rappresentano idealmente i due punti limite all'interno del ventaglio specifico; analogamente, sul piano della forma, la soglia inferiore e la soglia superiore coincidono con l'elemento archetipo cerchio-quadrato e con l'indicazione del piano e dei piani. A questo proposito sembra evidente come, per la contrastante funzione che le forme accennate hanno morfologicamente e culturalmente, per la loro diversa distanza dal referente, la loro relazione sia possibile nella misura in cui essa si presenti come rigorosa, preventivata.

Proprio il rigore della relazione non permette una lettura gestuale da una parte, o una lettura meramente ottica dall’altra: la presenza di elementi alfabetici diversi pone l’accento su una sensibilità che è capace di orientare questa dialettica in funzione progressiva, creativa. La sapienza della tecnica e del pittorico (il colore trovato come “altro”, come costruzione e la dialettica delle forme) è veicolo di un processo conoscitivo analitico di controllo che recupera le due componenti genetiche (ordine e disordine) e ne ordina le caratteristiche gnoseologiche.

In Di Salvatore esiste, come costante ideologica, la riaffermazione del dato conosciuto, la sua resa archetipa, oggettiva, e la sua distrazione, la sua relativizzazione in un contesto la cui variabilità e imprevedibilità tende all’infinito, tanto coglie, all’interno di una organizzazione generale, il casuale, il temporale, la caratteristica dell’incidente capace di deformare, risignificare nell’invarianza formale degli elementi privilegiati. Sia in lettura diacronica che sincronica la risultanza del già dato, del posto arbitrariamente come inequivocabile, per quel doppio legame di forma, colore e materia che abbiamo indicato, si costituisce nell’opera come sintesi sconosciuta, nel momento in cui preordinato e casualità, forma convenzionale e gesto si uniscono in uno spazio modificato i cui echi influenzano, temporalizzano i dati oggettivi. Legame formale e costitutivo di questa interdipendenza è dato dalla presenza del casuale nello spazio interno all’archetipo: elemento soggettivo, variabile, indicatore simbolico di un referente diverso dal veicolo stesso e nello stesso tempo, per espressa parola dell’artista, capace di determinare l’organizzazione dell’opera intera. Questo in un processo di rovesciamento, giudizio continui.

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Gabriella Bartoli Bonaiuto

(dal catalogo della mostra “Interventi davanti alle opere di Nino Di Salvatore”.  Milano, Galleria Schubert, 1976)

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I segni lineari lasciati da Di Salvatore all’interno o all’esterno delle forme archetipiche del cerchio e del quadrato, nelle ultime sue opere, hanno anche la caratteristica espressiva di “tracce”; vale a dire rivelano - attraverso il confronto con il denso impasto pittorico di fondo, con certe piccole irregolarità, ecc.  una loro natura come di percorsi tracciati manualmente e che invitano ad essere ripercorsi, almeno visivamente. Sappiamo che Di Salvatore, pur senza esservi centrato in modo particolare, crede molto ad un suo concetto di “percorsi indotti”, a proposito di tali segni: per adoperare parole sue, egli “obbliga il fruitore” a seguire quei percorsi. Mi sembra dunque di poter confermare anche per tale via l’interesse che, per questo operatore, rivestono le ambivalenze concernenti il tema del “controllo” e quello della “comunicazione”; sia sul versante del rapporto con la propria realtà interiore, da reprimere e da esprimere; sia sul versante dei rapporti con l’altro...

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Gaetano Kanizsa

(dal catalogo della mostra “Interventi davanti alle opere di Nino Di Salvatore”.  Milano, Galleria Schubert, 1976)

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Io credo che ciò che si proponeva, in queste opere, Di Salvatore, fosse in primo luogo la soluzione di certi problemi spaziali; intendendo per spazialità sia la ripartizione bidimensionale del campo nelle sue varie aree, sia la creazione dello spazio tridimensionale. I quadri di questo periodo sono costituiti, come si è rilevato, dalla giustapposizione di campiture monocromatiche, con netti stacchi tonali che determinano margini senza sfumature di transizione. I collegamenti percettivi tra queste zone non sono arbitrari, nel senso che l’osservatore non è libero di instaurare quelli che “vuole” lui ed eventualmente di cambiarli, ma è costretto a subire le connessioni strutturali che, in un certo senso, l’Autore gli impone. Ed è proprio in questa organizzazione coercitiva di un materiale di per sé non significativo che risiede, a mio parere, un notevole significato dell’operare pittorico di Di Salvatore; il quale in tal modo sperimenta il proprio dominio dello spazio visivo, essendosi impadronito di principi che lo governano e gli danno struttura.

 

Riccardo Barletta

(dal catalogo della mostra antologica.  Ferrara, Galleria Civica d’Arte Moderna, Palazzo dei Diamanti, 1983)

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Lungi dal cadere in una sorta di metafisica, l’autore chiarisce che lo spazio è “una nuova Sachlichkeit, od oggettività, concretezza”, e pertanto il processo creativo dello spazio sta nell’indicare all’osservatore il ritmo, l’ordine, il clima in cui incanalare la sua immaginazione e la sua meditazione. Essendo lo spazio né astrazione né corpulenza, esso rientra come oggetto di studio in un vasto orizzonte di cultura: Weber, Fechner, Minkoswki, il behaviorism, la riflessologia americana, Von Ehrenfels, Linke, Buhler, Wertheimer, Kòhler, Katz, Lewin.  In questo quadro percettologico, Di Salvatore enuncia, per così dire, un postulato: “lo spazio è folgorazione della forma, è la forma che diviene quarta dimensione”. Il termine “folgorazione” viene spiegato, mediante due concetti di derivazione aristotelica, quelli di “atto puro” e di “potenza prima”, come associazione delle due cose nell’ambito di un processo dinamico. Infatti, per Di Salvatore, la realtà dello spazio “è moto prodotto da un immobile, libero da ogni divenire, da ogni cambiamento prodotto dall’esterno, in sé conchiuso, statica assolutezza che tuttavia si attua continuamente nel tempo e nella storia perché è realtà attuosa”. [...]

Veniamo al saggio intitolato Idea del bello concreto, scritto nel 1951 e pubblicato l’anno dopo.  Non si tratta, in questo caso, che della prosecuzione e maturazione del pensiero precedente.  L’andamento è, questa volta, meno arduo; ma pur tuttavia non ancora rettilineo: ne estrarremo quindi ancora i postulati. Si parte con l’osservazione che “non esistono, nel mondo sensoriale, sensazioni pure che galleggiano nell’aria, libere e innocue”, per poi affermare che “ogni percezione ha carattere totale quindi formale”. Qual è il funzionamento della percezione? quello del dinamicismo, dice Di Salvatore.  E precisa i tre livelli di tale attuarsi: a) psicologia della forma e dei colori; b) fisiologia dei sensi; c) schemi dell’estetica pura. Partito da tali premesse metodologiche, l’autore affronta il problema di enucleare i contenuti teorici del concretismo. In ciò - come si è già detto - unico e solo tra i suoi colleghi astrattisti, i quali non capirono l’importanza di tali proposizioni. Ma la cosa incredibile si è ripetuta anche oggi, a livello storico-critico. Basti leggere i due lavori sul MAC di Marco Meneguzzo e di Paolo Fossati (“Il movimento Arte Concre-ta, 1948-1958”, Martano Editore, Torino) - il quale, addirittura, riporta una frase del primo saggio di Di Salvatore come se fosse di Mazzon! Che non rilevano affatto l’originalità dell’apporto del giovane concretista, in un quadro peraltro povero concettualmente quanto ricco d’entusiasmo. [...] I due saggi di Di Salvatore - così ricchi di pensiero, che va dall’aristotelismo alla psicologia della forma e alla psicanalisi (e, forse, con maggiore analisi si potrebbero trovare venature di kantismo), pensiero inoltre radicato a valori delle scienze fisiche e matematiche - questi due densissimi scritti non ebbero complessivamente un riscontro dibattimentale nella cultura dell’epoca.

 

Luciano Caramel

(dalla prefazione al catalogo della mostra antologica. Ferrara, Galleria Civica d’Arte Moderna, Palazzo dei Diamanti, 1983)

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Il porre lo “spazio” come “campo” di modificazione strutturale attiva delle forme, il riferirsi al relazionalismo della topologia, il considerare non preclusivamente i meccanismi della reattività percettiva del fruitore, con aperture in arte veramente pioneristiche condusse Di Salvatore, fin dagli anni ‘40, ad una pittura non solo, non formalisticamente rivolta alla composizione, alla manipolazione gratuita, o aprioristica, delle strutture, ma neppure risolventesi nella mitizzazione, ascientifica, della scienza e dei suoi procedimenti. Le sue superfici sono il luogo di interrelazioni dinamiche, di reciproche tensioni formali e cromatiche. Contrapposte energie vi si confrontano secondo le regole, e i conflitti del reale, al di qua di riduzioni preconcette, o di comodo.

L’unità è data dalla tendenza della “qualità del tutto a predominare sulla qualità dei particolari, per definite condizioni percettive, non per convenzioni formali. Al fine di ottenere una coerente coesione dell’immagine (una “buona organizzazione psicologica”, egli direbbe) Di Salvatore si serve avvertitamente delle leggi della Gestalt. Come ha sottolineato uno dei nostri maggiori specialisti di psicologia della percezione, Gaetano Kanizsa, “il potere strutturante della ‘continuità di direzione’ e della ‘chiusura’, il ‘completamento amodale’ o la ‘tendenza alla pregnanza’ sono tra i protagonisti” delle opere di Di Salvatore, che di conseguenza determinano un attivo rapporto artista-fruitore. Non, da parte dell’artista, la proposizione di dati da contemplare, o subire; non un messaggio a senso unico. Invece l’incentivazione nel fruitore, attraverso appunto le stimolazioni percettive, di processi mentali dinamici.  Con tali specifiche connotazioni l’artista partecipa alle attività del Movimento Arte Concreta (MAC), cui aderisce fin dalla costituzione, nel 1948. Si lega soprattutto a Soldati, a Munari, a Garau, a Mazzon, e con essi e gli altri lotta contro le riemergenti spinte al naturalismo ed ad un realismo ottocentesco, con un’azione in cui è essenzialmente da vedere i trait d’union tra autori diversissimi nelle singole scelte formali. Il MAC non fu infatti, neppure nella prima fase, fino al 1952, un gruppo linguisticamente omogeneo e come tale non va visto, se non si vuol fraintenderlo e cadere in equivoci dannosi per tutti.

L’unità, piuttosto, va cercata all’interno della varietà di personalità in genere assai accentuate: ed oltre tutto non statiche, ed anzi in continuo sviluppo, come appunto Di Salvatore, che, entro le coordinate metodologiche sopraindicate, dà corpo sempre nuovo alla dialettica di movimento e stasi, col rarefarsi dell’immagine (Spazio concreto, 1950; Struttura di spazio, 1950) o l’infittirsi di elementi curvilinei e retti (Giallo, verde, bleu, 1950; Disegno concreto 1949), col ricorso a contrapposizioni cromati-che elementari (Bianco, rosso e nero, 1949, Chiusura, 1950; Spazio statico e dinamico 1950), sino al bianco e nero (le tavole della citata cartella edita da Salto nel 1951 con prefazione di André Bloc).

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Franco Farina

(dalla prefazione al catalogo della mostra antologica. Ferrara, Galleria Civica d’Arte Moderna, Palazzo dei Diamanti, 1983)

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Direi che le opere di Di Salvatore, mentre sì impongono per le potenzialità intrinseche, sollecitano il visitatore a “ripercorrere” stadi e criteri seguiti, accertando così le funzionalità variabili, le interrelazioni esistenti in ciascuna opera e fra loro, risultato questo ottenuto per avere sempre ben chiari finalità e progetto che garantiscono lo sviluppo formale come pratica e teoria.

Il rigore razionalistico si accompagna alla scienza ed alla poesia insieme, in una felice sintesi coinvolgente e catalizzante, perché ritmi e scansioni cromatiche costituiscono incontrovertibili “verità” che sono in noi spessissimo disattese. Nessuna metafora, nessuna allusione quindi, bensì un discorso che si enuclea attraverso “ìmmagini mentali”, tanto più “concrete”, perché archetipe di situazioni non gravate dal racconto e dalla rappresentazione.  Nessuna convenzionalità ed inattualità, nessun formalismo, bensì un tipo di lucida creatività, composita negli elementi costitutivi, dove i valori sono dati dalla qualità della ricerca e dal rigore strutturale, prerogative che configurano Di Salvatore inequivocabilmente per “ritmo visivo”, impianti compositivi e per tensioni ideali.

Tutto questo viene ricavato dalla visione di insieme delle opere qui presentate; è vero anche che ognuna esige di essere osservata in se stessa, isolatamente, in quanto autonoma nelle componenti di qualità, ordine e significanza.  È il caso di dire che per i lavori di Di Salvatore ciò che importa e che risulta di non facile comprensione è la fatica della ricerca non costretta nelle strettoie di teorie fideistiche e mortificanti, ma l’essere piuttosto aperti alle stimolazioni che vengono dall’uomo, i suoi orizzonti sono estesi e profondi così come emblematicamente sono queste opere.

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Luigi Lambertini

(da “KOS”, Rivista di scienza ed etica, n.s.7, Milano, gennaio 1991)

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E di solarità infatti si tratta, per giunta unica ed irrepetibile, solarità che nasce dal di dentro, che cattura chi guarda rendendolo subito parte integrante della realtà che gli è di fronte, spalancata com’è nel tempo e nello spazio e sui loro incommensurabili silenzi. È il giallo che prevale, ma ci sono pure i rossi, gli ocra, i grigi, gli azzurri, i neri ed i verdi che con le loro forme, con le forme che Di Salvatore ha individuato, precise e nette, tengono campo. Da qui una sorta di caleidoscopio che, folgorante o sfaccettato a seconda delle cadenze e dei ritmi (e l’immagine musicale non è per nulla gratuita, bensì ha un suo chiaro diritto di cittadinanza) trae origine da esse, da queste strutture e da queste forme che li innervano e dalle quali a loro volta sono definiti.

Non per nulla, e gli esempi vengono suggeriti dallo stesso Di Salvatore nel saggio del 1951 sulla “Idea del bello concreto”, il giallo è acuto se collocato all’interno di un triangolo, assume

invece una “significatività dinamica”, per l’implicita tensione centrifuga, se è delimitato da una forma circolare. Il rapporto tra colore e forma, insomma, è talmente stretto da non potere essere in alcun modo sciolto, è inscindibile come quello intercorrente - vi ho già accennato fra opera ed osservatore; si basa su di un interscambio, addirittura su di una osmosi dalla

quale non si può prescindere. Senza l’osservatore, l’opera perde di significato, viene annullata; da realtà propositiva, da dato di fatto, da parametro per lo sviluppo di un rapporto, di un susseguirsi incalzante di sollecitazioni, diverrebbe pura e semplice petizione di principio, astratta enunciazione. La sua concretezza consiste proprio in questa interdipendenza che troviamo all’interno del processo percettivo, del processo visivo il quale - e il concetto sia ben chiaro subito - non si basa soltanto su di una meccanica registrazione di immagini, ma al contrario, chiama in causa una varietà davvero amplissima di desinenze e di sedimentazioni psicologiche e culturali, a livello individuale e collettivo.  E’come dire che l’osservatore “carica”, “attribuisce”, “assegna” all’immagine - perché non chiamare in causa la socratica maieutica? - quelle memorie, quelle esperienze, quei concetti che hanno origine dalle connessioni che scaturiscono in fondo dalle facoltà associative, e pertanto conoscitive, dell’intelletto. Vengono così riscoperti soprattutto concetti archetipici ed il segno che definisce le immagini non è più soltanto la traccia di un gesto, il segnacolo di un’esistenza. La questione del resto può essere considerata da un differente punto di vista, almeno entro certi ambiti; in altri termini vanno tenuti presenti anche gli elementi che di per sé caratterizzano l’immagine, la connotano - abbiamo capovolto il discorso - e che pertanto come tali si offrono al visitatore affinché avvenga il “riconoscimento”. Pur essendo in questo caso diversa la premessa dell’enunciato i risultati, a causa dei due percorsi pressoché analoghi or ora compiuti, sono in pratica sovrapponibili; per giunta l’uno non esclude l’altro. [...1]

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Giorgio Di Genova

(da Storia dell’Arte Italiana del ‘900.  Generazione Anni Venti. Bora Editore, Bologna 1991)

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Nel ‘51 Salto pubblica Dieci incisioni originali di Di Salvatore con una prefazione di André Bloc. La pubblicazione conteneva il saggio, steso da Di Salvatore nel ‘50, Il problema ‘spazio’, in cui l’artista, che già dal ‘49 s’era rivolto per le sue creazioni alla Gestaltpsychologie, appunto come base per i processi della struttura psico-percettiva relativi alla creatività, asseriva: “Lo spazio è la folgorazione della forma, è la forma che diviene quarta dimensione”. [...] L’anno successivo veniva pubblicato sul n. 6 del “Bollettino del Movimento Arte Concreta” (20 aprile 1952) il testo Idea del bello concreto, in cui Di Salvatore precisava che “alcune forme concrete si presentano ab origine come unità chiuse, e si costituiscono in seguito in ‘entità’, impedendo l’accadimento di fenomeni che predispongono l’organizzazione del ‘campo’ ad accettare il comportamento pregnante di una data unità, a scapito del valore significativo di tutte le altre. Una forma può quindi avere - totalmente - un carattere delimitato, spiccante, ‘chiuso’ o strutturato”. Quindi proseguiva: “Nella percezione di un quadro concreto, l’entità e la unità si determinano reciprocamente, e la qualità del tutto tende a predominare sulla qualità dei particolari”. Ma l’artista andava oltre, sia dichiarando che la “forma ha... un primato su altri processi”, sia asserendo la sua convinzione che affinché i nostri organi sensoriali “reagiscano subito e pienamente ad un dato complesso di stimoli con un processo globale è necessario.., che il quadro concreto si realizzi con FORME-TIPO che si auto-organizzino fenomenicamente mediante processi ottici e psichici, in un’unica totalità globale”. Esistendo nella forma-tipo, oltre ai suoi aspetti sensoriali e fisici, anche i processi spirituali, “l’opera d’arte concreta diviene ascoltazione del mondo, non secondo un’armonia musicale ma di sensazioni e percezioni”. per cui ne deriva che il “Concretismo, allora, è come la natura: esso `è' semplicemente, ed ha un valore significativo globale". Insomma "l'arte è divenuta un complesso totale e la nuova idea della bellezza è qui".

È chiaro che Di Salvatore con le sue teorie gestaltiche vuole contrapporsi al concetto dello "spirituale nell'arte" di Kandinsky, per arrivare ad affermare, secondo lui lecitamente, che "il concretismo è il realismo per eccellenza, perché si ispira alla concezione odierna della realtà" (‘58).

Sul piano della pratica Di Salvatore, dopo aver dipinto Chiusura, olio del 1950, giunge alla dialettica di forme esclusivamente cromatiche e simili, forme solo di contorno che individua come archetipi concretisti (Archetipo concreto,1952) e che in seguito saranno concepiti come dinamiche forme ovali, mosse nel loro interno da altri ovali di diverso colore (Archetipo positivo-negativo, 1956; Archetipi su rosso, 1957), poi trasferiti anche nella tridimensionalità con opere in ferro verniciato (Archetipo I, 1956). [...1 Di Salvatore prima che il decennio spiri ritorna alle forme geometriche, anche se in un contesto che le fa dialogare con residue persistenze informali. Cosicché in Campo artificiale del `68 non solo i cerchi e i quadrati, costruiti col disegno di due colori, l'uno inscritto nell'altro, sovrastano un campo rosso che contiene segni e qualche pennellata gestuale, ma contengono al loro interno segni essi stessi, non diversamente dalla teoria dei quattro cerchi giallo-rossi posti diagonalmente sulla superficie verde, nella quale il pennelleggiare è volutamente lasciato a vista, di Archetipo oggettivo verde e giallo del `69.

È questo un momento molto gioioso e luminoso della pittura di Di Salvatore, il cui cromatismo, molto studiato negli accostamenti sia dei campi di fondo che delle perfette forme geometriche, emana una luce propria di grande suggestione.

Si avvertono i frutti dei contatti dell'artista italiano con Max Bill, Lhose, Kupka, Robert Delaunay e Vasarely, con i quali negli anni Cinquanta aveva esposto, riuscendo tuttavia a crearsi un linguaggio autonomo che lo imporrà internazionalmente.

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Massimo Hachen

Nel suo trattato: “Scienza della visione” – ed. APOGEO-Milano 2007- (adottato nel corso delle sue lezioni, presso il Politecnico di Milano) per le tematiche relative a -Spazio e Gestalt, design e comunicazione- dedica ampia trattazione all’Artista Nino Di Salvatore. Illustra alcune significative opere pittoriche che bene si integrano e rendono complementare l’insegnamento degli stessi temi.

“Se ciò che il nostro occhio rileva e trasforma in stimoli nervosi è legato a processi fisiologici relativamente ben conosciuti, quello che noi effettivamente “vediamo” è dovuto a fenomeni psichici di estrema complessità, che da millenni sono al centro delle riflessioni di filosofi, artisti e scienziati.” Il libro, rivolto in primo luogo a designer, grafici e architetti, è pure affascinante lettura per chiunque si interessi di comunicazione, illustrando gli elementi fondamentali per comprendere i meccanismi della percezione visiva.

Il filo conduttore di questo viaggio nel mondo psico-percettivo è il contenuto di un corso universitario tenuto dall’Autore e battezzato, già negli anni Cinquanta dal suo inventore, Nino Di Salvatore, “Scienza della visione”

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NOTA:                                                                                                  

(L’Antologia critica è tratta dal libro di LUIGI LAMBERTINI: “DI SALVATORE-Dipinti,disegni,scritti,didattica”

ed. ELECTA- MILANO 1992 - Con aggiornamenti ed integrazioni a cura di Mario Suriano, in occasione del centenario della nascita dell’Artista: 1924 - 2024)

Gio Ponti
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